Performances:157-2002-APRIL-19-ITALY-MILANO@BINARIOZERO

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Setlist

DEATH IN JUNE – MILANO

Until The Living Flesh Is Burned
Death Of A Man
C’est Un Rêve
Ku Ku Ku
Luther’s Army
She Said Destroy
Smashed To Bits
Runes And Men
All Pigs Must Die
Tick Tock
Hollows Of Devotion
We Said Destroy
Little Black Angel
Death Of The West
Disappearer In Every Way
Kameradschaft
Fall Apart
Rose Clouds Of Holocaust
Leopard Flowers
Fields Of Rape
But What Ends When The Symbols Shatter?
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The Enemy Within
Heaven Street
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??? (con Boyd Rice alla voce)
??? (con Boyd Rice alla voce)

Death In June in Italia per quattro concerti. Annunciati come headliner in un mini-festival comprendente NON (alias Boyd Rice) e Wolfpact. Per cause a me sconosciute, questi ultimi alla fine non hanno preso parte ai concerti. E per quanto mi riguarda, avrei volentieri fatto a meno anche del sig. Rice. Ma vabbeh, potevo perdermeli? Mai sia! Anche perché se andiamo avanti così, tra denuncie, diffide, ecc… di concerti i Dij ne faranno ancora pochi pochi… Ma andiamo per ordine.
Arrivo fuori al Binario Zero verso le 19.30. Il tempo di scambiare quattro chiacchiere e mangiarmi una pizza al volo nel take-away lì di fronte (ragazzi, divino! Anche se le persone civili mangiano sedute, non in macchina, hehehe), ed ecco il sig. Pierce e compagni che tornano dalla cena. Visibilmente invecchiati i nostri non se la tirano, sorridendo e salutando. Qualche malizioso tra voi potrà chiedersi cosa c’era sotto questo atteggiamento. Personalmente ritengo semplice cortesia.
Entriamo nel binario zero ed è con sorpresa che mi ritrovo di fronte delle mie amiche di Lecce venute apposta per il concerto!!! Grandissime loro e gli altri viaggiatori. Ragazzi che vivete a Milano, non lamentatevi dandyeggianti che “non c’è mai un cazzo da fare in giro”… Prima o poi qualcuno potrebbe spezzarvi le gambe! 🙂
Qualche parola con amici, un occhio al merchandising (su cui spicca il piatto col teschietto Dij, hihihi!!! SOLO 50,00 Euro, hihihi oddio mio, a quando le forchettine?) e senza nemmeno accorgersene, ecco il sig. Boyd Rice che sale sul palco. Attacca con “Total War”, che è poi l’unica che riconosco, e va avanti per circa quaranta minuti.

Che dire, giratemela come vi pare, ma dal mio punto di vista le esibizioni recenti di NON sono pura e semplice propaganda. E a me ha infastidito non poco. Nemmeno la presenza del sig. Pierce in un brano (minato comunque dai problemi audio non indifferenti… mi sa proprio che ai tecnici del suono sta serata non andava giù) ha risollevato un set veramente monotono. Più che altro non era il contesto adatto. NON, come miliardi di altri progetti industrial (vedi Premature Ejaculation, 23 Skidoo o roba simile) li ho sempre
ritenuti un gruppo da, passatemi il termine, “performance” intesa come installazione, non come concerto. In quest’ultima veste perde il pathos che sicuramente avrebbe meritato in situazioni più consone. Ma tant’è…
Lo show termina senza troppi rimpianti, due minuti ed ecco salire sul palco la Morte in Giugno. Mimetica, maschera, bandiera nera sventolata al pubblico e via. Il trittico “‘Till The Living Flesh Is Burned” (vera chicca che non suonavano da secoli), “Death Of A Man” e “C’est Un Rêve” (“…where is Bin Laden?…” al posto di “Klaus Barbie”…) apre le danze di uno show non particolarmente entusiasmante (la scaletta era perfetta, ma l’uso di qualche strumento in più non avrebbe certo guastato: chitarrina e percussioni alla lunga annoiano, soprattutto se gli effetti usati sono minimi) che alla fine, pur avendomi soddisfatto, non mi ha emozionato granché.
“She Said Destroy” è stata una piacevole sorpresa, anche se vedere certe danze sexy con giochi di mani nell’aria di tizi e tizie nerovestite durante l’esecuzione di uno dei pezzi più famosi di “Nada!” m’ha fatto un po’ sorridere. “Smashed to Bits”, una delle mie preferite del periodo più recente, ha perso molto nel restyling acustico, andando così a confondersi con molti altri brani della produzione del sig. P. Lo stesso Douglas (che dopo il terzo pezzo ha indossato per tutto lo show un elmetto con delle frange che gli coprivano completamente il volto) non m’è sembrato particolarmente in forma e a mio parere l’esecuzione di gemme come “Fall Apart” o “But What Ends When The Symbols Shatter” sono risultate abbastanza fredde. Sarà che la voce si sentiva poco (si si, gli faceva
proprio schifo ai mixeristi, ve lo dico io ^_^), sarà che mi guardavo in giro, e invece di trovarmi in qualche luogo intimo e suggestivo ero pur sempre al Binario Zero, locale ottimo per concerti più diretti, meno per quelli d’atmosfera. Sarà tutto quello che volete, ma non mi sono emozionato, ecco. Non un brivido, non un sussulto. Nulla. La data bolognese del 1999 era stata veramente tutta un’altra cosa. Ditemi ciò che vi pare, ma la collaborazione con cicciobello Albin era di gran lunga più interessante delle ultimissime scelte stilistiche prese dai Dij, sia a livello di studio, sia dal vivo. Con “But what…”, appunto, lo show si chiude.
Il pubblico richiama a gran voce i nostri sul palco per due volte (e per due volte i diggei mettono dischi appena Douglas appoggia la chitarra. Stesso teatrino già visto in occasione del “cinema strano”. Calo un “tappeto persiano” pietoso, anche se vedere mr. Morte In Giugno girarsi verso di loro a urlare “Beh allora?! Voglio fare un altro pezzo, non si può?” mi ha divertito non poco).
Finale con Rice alla voce, “Mussolini come back”, ecc… (a fine concerto Boyd Rice ha “invocato” un ipotetico ritorno di Mussolini… una bella dimostrazione di stupidità. N.d.Malex) nessun applauso a riguardo, nessuno scioccato, nessun braccio teso. Come da copione, alla fine.
La serata nella sala principale poi è continuata con una festa decisamente fuori luogo, con uno speaker d’eccezione, frequentatore (o ex?) del nostro forum e chat, che annunciava pezzi… rock (?!?!). Ricordo solo Red Hot Chili Peppers ed altre amenità simili: mi sono rifugiato
nella sala esterna, quella dell’esilio (for those who fight in isolation… ^_^), ad ascoltarmi un po’ di cose decenti fino alle due e mezza circa. Dopodiché non ne potevo più. Arrivederci e basta. Devo ammetterlo, la prima volta della Morte In Giugno a Milano mi ha lasciato un po’ d’amaro in bocca. [Recensione a cura di Max 13-34 per Erbadellastrega.it – Maggio 2002]

Le motivazioni che mi hanno spinto a vedere una seconda data della Morte In Giugno in questa mini tournée italica sono molteplici. In primo luogo ho sempre apprezzato e seguito le opere da lei prodotte, escludendo dal lotto le varie uscite minori (vedi Occidental Martyr e operazioni simili) e il più recente “tutti i porci devono morire”, eccessivamente scopiazzato nel lato A, troppo buttato là
nel lato B. Secondariamente, nonostante li segua da più di dieci anni, le occasioni per vederli dal vivo mi erano praticamente sempre sfuggite se escludiamo la data del 1999 a Bologna. Altro buon motivo era che in quei giorni avevo delle ferie forzate. E dulcis in fundo, mi avevano parlato bene del luogo dove si sarebbe svolto il concerto. Inoltre voci insistenti di corridoio parlavano di possibili sorprese (voci incontrollate davano un apparizione di Tibet in braccio a Wakeford mentre Patrick O’Kill distribuiva “Rose” al pubblico… l’avete capita? Non fa niente, era pessima…) che, alla fine, non ci sono state.
La sorpresa vera è stato il luogo, un simil-capannone industriale con un palco molto suggestivo, circondato da tubi d’acciaio ed impalcature imponenti. Non oso immaginare che effetto potrebbero fare qua gruppi tipo Das Ich o simili… unzettoni, preparatevi al festival che si terrà lì a Luglio… L’impianto poi prometteva bene, si parlava di grossa resa in quanto a uscita e le enormi casse ai lati del palco facevano ben sperare. E’ con molto interesse quindi che attendo l’inizio del concerto, mentre la sala comincia a riempirsi poco a poco.
Noto che sul palco al posto dei timpani “regolari”, vi sono dei veri e propri bestioni da orchestra. Effettivamente un amica facente parte dell’organizzazione, mi aveva spiegato che i Dij avevano richiesto proprio i timpani orchestrali per tutte le date, ma che per un motivo o per l’altro, solo quelli di Vicenza glieli hanno recuperati. Da quanto mi risulta, questo è vero. Se mi sbaglio, fatemelo sapè… Comunque
chiacchiera io che chiacchieri te, mi ritrovo di nuovo il sig. Rice sul palco. Medesimo show di Milano. Medesimo giudizio da parte mia. De gustibus… Fire, Fire, everlasting Fire, qualche minuto di attesa, si spengono le luci ed ecco la Morte in Giugno salire sul palco sbandierando a destra e a destra (eddai, fatemi fare ste battute, no?^_^) la solita bandiera. L’inizio di “Until The Living…” è dei migliori stavolta. Voce caricata di echi (come su “Oh, How We Laughed!”, avete presente?), suoni possenti dei timpani,
veramente micidiali, e un Douglas P. veramente in forma che picchia duro a manetta, totalmente preso dalla situazione. “Death Of A Man” fa da preambolo a “C’est Un Rêve”, riproposta qui in maniera splendida. L’impianto audio è veramente molto valido, i giochi di luce interessanti e fin’ora l’esecuzione dei brani è pressoché perfetta.
Ma è da qui in poi che, personalmente, ho visto un lento calo della qualità della performance. Escludendo una versione emozionante (nonostante DP abbia sbagliato giro nella parte centrale) di “The Golden Wedding Of Sorrow” e qualche altro momento qua e là, lo show è andato emotivamente in calando, sia sopra che sotto il palco. L’impianto acustico poi, ha avuto molti problemi. Personalmente, visto che ero in prima fila, ho avvertito solamente quelli relativi ai suoni della chitarra, altre persone che hanno seguito lo spettacolo da dietro, mi hanno poi parlato di suono generale impastato, dovuto, probabilmente, ad un errata equalizzazione che andava a distorcere il tutto. Peccato, perché come detto prima l’impianto in se sembrava ottimo. Forse la causa di tutto può ritrovarsi nel fatto che la cosa è abbastanza nuova, quindi i tecnici devono ancora “farci la mano”… boh, non so veramente spiegarmelo.
Ma il culmine del fastidio lo si raggiunge quando, a set terminato, un tizio della security sale sul palco. Per qualche minuto parla al microfono in inglese, cercando di riscaldare la gente (per la verità un po’ freddina ed annoiata) ed incitandola a richiamare il gruppo per un bis, poi vedendo le scarse reazioni, svela la propria “italianità” e comincia a pronunciare frasi tipo “facciamo vedere che siamo Vicentini!! W Heider!!! W Hitler!!” e minchiate del genere.
Ora, a prescindere dalle ideologie politiche personali, la cosa m’è sembrata alquanto schifosa, disgustandomi non poco. Motivo per cui ho salutato verbalmente il soggetto di cui sopra accompagnandomi con gesti espliciti riguardo alla mia idea del suo teatrino personale. Dopodiché mi sono allontanato dal sottopalco, abbastanza amareggiato dalla cosa (che paradossalmente ha infastidito
anche molti skin presenti, che hanno reagito nel mio medesimo modo: evidentemente il discorso del “fuori luogo” non valeva solo per il sottoscritto). Ho appena fatto in tempo a vedere oggetti vari che arrivavano sul palco, dopodiché dalle retrovie mi son sentito il solito bis con Rice alla voce, con un sottofondo di fischi non indifferente.
Evito di parlare della superflua discoteca che ha seguito il concerto perché a quel punto non me ne poteva fregare di meno. Mi sono trattenuto un po’ con degli amici, e poi me ne sono scappato. Altra mezza delusione, lo devo ammettere. A posteriori mi sento di fare qualche considerazione. Ci tengo a precisare che sono pensieri personali, in modo da evitare polemiche generalizzate.
1) Questi concerti dei Death in June mi hanno parzialmente deluso per i motivi descritti nelle recensioni. Inoltre la presenza agli spettacoli di gente che per tutto il concerto parla dei cavoli suoi ad un metro dai miei padiglioni auricolari continua ad infastidirmi: se non volete seguire, spostatevi dietro! (o restate a casa direttamente! N.d.Malex).
2) Questione Nazi Fasci ecc… Per tutti quelli che si sono stupiti nel vedere simpatizzanti della destra agli spettacoli, ricordo e sottolineo che questo “fenomeno” non è recente come qualcuno vorrebbe far credere, ma è vecchio tanto quanto i Death In June stessi. Quindi non mi sembra il caso di
scandalizzarsi o di gridare all’oltraggio. Rimango dell’idea che finché non mi si da fastidio direttamente, la gente può pensare e credere in quello che gli pare.
3) Questione prettamente artistica. Sarà stata un’impressione, sicuramente discutibile. Ma non mi sembra che la Morte in Giugno abbia ancora molto da dire. Ripeto, sarò nostalgico, ma i bei tempi mi sa che sono ormai passati…
[Recensione a cura di
Max 13-34 per Erbadellastrega.it – Maggio 2002]

Il Palladium è una di quelle discoteche dove ci van gli Americani. Si, quelli della “Ederle”, la base Nato di Vicenza.
La dirimpettaia stradina sterrata che porta nello sterrato parcheggio è l’ingresso al Palalago di Marola. Mica il lago di Garda, sia chiaro. Un laghetto di pesca sportiva, con annessi, connessi e perfino il palazzetto dello sport. E’ qui, nel prefestivo 24 aprile (il giorno prima della festa nazionale della Liberazione… un caso?), che si è celebrato uno degli eventi italiani più attesi degli ultimi
anni, almeno qui nel Nord-Est. E’ qui che, dopo alcune altre date lungo la penisola, è arrivata la Morte in Giugno. E’ arrivata preceduta da un tappeto rosso di polemiche (e non starò qui a dilungarmi su temi triti, ritriti e omogeneizzati che già son stati blaterati fino alla nausea). E con lei, e per lei, son giunti da tutto il Nord e non solo, in questo retrobottega del mondo sperso nelle campagne vicentine.
All’interno il posto è come tanti altri suoi simili adattati per l’occasione: con quel catalizzatore cosmico che è il bar, l’affollato spazio di Ende, Devis col suo “Sottomondo”, e l’angolo del merchandising, pieno di gadget inutili quando costosi… E poi, all’opposta fazione, l’enorme palco. Forse appare ancora più grande perché estremamente spoglio e vuoto. Sulla parete campeggia uno stendardo. E’ quello storico, quello dell’83. Quello con l’enorme “Totenkopf”, simbolo da sempre di questa strana Morte. E già qui potrebbero aprirsi le cataratte di quella diga di polemiche che da giorni ci assillano a destra e a manca…Ma andiamo con ordine.
I gruppi annunciati a fare da spalla a mister Pierce sono due: NON e Wolfpact. Del secondo già si sa che molto probabilmente non si esibirà: le date precedenti fan storia. Ed infatti, ad aprire questa macabra estate di Morte ci pensa lui, il signor NON, mister Boyd Rice in persona, uno dei personaggi più ostici di questa scena musicale, un “menefreghista” che da sempre, in barba ad ogni controversia e polemica, porta avanti ad oltranza la sua scelta sonora. Ci aspetta almeno mezz’ora di rumore allo stato puro, una schizofrenica frenesia di note assordanti senza interruzioni, senza respiro, senza
requie. Per i più, che mai hanno assistito ad una sua performance, è una mezz’ora allibita, mani alle orecchie e un enorme punto interrogativo negli occhi: chi è? Che fa? Che vuole? Che c’entra? C’entra eccome, nella sua pluridecennale amicizia con Douglas, anni di collaborazioni, complicità e note prestate, uno dei pochi sempre fedele al suo connubio con la Morte. Coloro per i quali invece il signor Rice non è affatto sconosciuto, si stupiscono che in questa occasione la sua apertura sia così… soft! Sì, così soft
se memori del concerto in quel di Torino anni addietro, quando ci propinò quella bomba sonora proveniente da una sirena ululante! Tant’è che l’esibizione (chiamiamola così, dire “concerto” sa troppo di melodico, di piacevole, di ascoltabile…) ha termine e il pubblico si assiepa attorno al palco, in un’aria di attesa che ha quasi del misticismo.
Ed eccolo, arriva, tuta mimetica e l’immancabile maschera, chitarra e percussioni. Death in June. Nello spazio di un concerto, Pierce ripercorre un’intera carriera: dagli esordi di “Until The Living Flesh…”, a “Death Of A Man”, “C’est Un Reve”, “She Said Destroy”, “Fall Apart”, “Fields Of Rape”, “All Pigs Must Die”, “Tick Tock” , “But What End When…”, “Kameradschaft”, “Heaven Street”…
Sarebbe tutto bellissimo se non fosse per una resa acustica pessima. Forse chi ha preso stazione al mixer non sa (e allora mi chiedo che cosa diavolo ci sta a fare là) che i cursori su quella strana tavolozza non sono dei giochini per passare il tempo, ma, mossi su e giù con sapienza, servono a rendere acusticamente ad hoc la musica equalizzandola in maniera ottimale.
Il concerto è quasi inascoltabile. Appena più lontano dal palco la musica è assordante, perde ogni malia e ogni fascino, tutto è rumorosamente fuori luogo. Il mastodontico impianto del Palalago mal si coniuga con le dolcezze dell’acustico, rimpiango che Douglas, con la sua chitarra e la sua voce suadente non sia in un luogo più intimo e raccolto. Del resto, la funzione di un palazzetto non è esattamente quella di ospitare eventi musicali, e la sua struttura acustica, ben che vada, è concepita per amplificare al meglio i rimbalzi di un pallone, non per dare atmosfera a “Rose Clouds Of Holocaust”…
Sono tristemente arrabbiata. Di6 fa parte della mia storia musicale. Attendevo da tanto questo
concerto, non passa settimana che un suo disco non prenda il posto d’onore sul mio instancabile piatto; accantonare per qualche ora il nero vinile e assaporare il gusto delle note, finalmente e nuovamente, “vive”… Attorno il pubblico è diviso, una parte di esso segue con attenzione e coinvolgimento, mentre da altre parti si sentono voci che sommessamente criticano o protestano, rafforzando in me la convinzione che qualcosa non vada come dovrebbe andare.
Stranamente, verso la metà dell’esibizione, la musica assume un tono più conciliante, come se avesse fatto pace con quell’impianto che la propaga nell’etere. Qualcosa è cambiato, tutto è più umano e meno fracassone, finalmente si “sente” questo concerto in maniera più dignitosa! Ma io, per quel che mi riguarda ne provo rammarico, sono stanca. Stanca e amareggiata, e delusa. Troppe aspettative? Forse sì, ma solo perché so quanto e cosa, in termini emozionali, può dare la Morte. E qui ritrovo ben poco di queste emozioni.
Emozioni che si trasformano in rabbia quando, dopo che siamo stati salutati come da rito prima di una nuova sortita, se ne esce il benemerito imbecille N.2, che invita la platea a richiamare Douglas sul palco al grido di “Heil Hitler” e blaterando di un non meglio identificato “orgoglio vicentino”! Io sono vicentina. E ho provato vergogna.
Mi son vergognata di poter esser associata ad un individuo che parlava unicamente per sé coinvolgendo me e chissà quante altre persone presenti nel suo inutile gioco meschino. E non intendo aggiungere altro. Perché non saprei trovare le parole adatte per descrivere questa inutile provocazione gratuita, per descrivere la mortificazione e il disprezzo, che in una sequenza di infiniti pensieri mi hanno attraversato da capo a piedi passando per l’anima. Inutile sottolineare la reazione disgustata del pubblico. Io ero senza parole. Non credo che Pierce sia uscito grazie a questo inutile appello. Spero e desidero credere che Douglas fosse all’oscuro di questa inutile farsa (personalmente credo che Douglas l’abbia sentita e, quindi, poteva dire due parole
poteva dire due parole per stigmatizzare quell’atteggiamento… Era o non era il “suo palco” quella sera? invece niente. Chi tace acconsente, si dice dalle mie parti. N.d.Malex).
Altri due pezzi, “The Enemy Within” e “Heaven Street”. Poi tutto sembra finito. Invece manca lo schiaffo finale. Un ultimo brano assieme a Boyd Rice. E la conclusione che stavamo aspettando, memori delle voci che erano circolate dopo gli altri concerti.

Speravamo che qui non accadesse, ma mancavano le premesse per un finale diverso dagli altri. Ed infatti Rice ci saluta, con il suo “Mussolini come back”. Un ulteriore, perdibile epilogo. Non è propaganda. Non è istigazione. Non è apologia. E’ semplicemente ridicolo nella sua gratuità. Perché inutile. Perché poteva esser un bel concerto, perché la scaletta era stupenda, perché lo si aspettava da tempo, perché sul palco c’era Death in June. Invece è stato un concerto iniziato male (ma non per colpa di Pierce) e finito peggio. Un evento rovinato dall’imbecillità, un’altra occasione sprecata. Mi piacerebbe sapere da tutti cosa hanno provato. Ma è solo curiosità. I concerti li vivo con me e per me. Sento commenti diversi e antitetici, mezze frasi carpite, alcune osannanti, altre perplesse. La mia rabbia si è decantata in tristezza. Su quel palco ho visto un uomo stanco, nella sua voce l’amarezza di chi ha perso tutte le illusioni. Mi chiedo che cosa pensi Douglas di tutto questo. Ma anche questa rimarrà una curiosità.
La serata prosegue, in consolle c’è un Dj, parte la solita carrellata di banalità. Molti se ne vanno. Alcuni hanno voglia di ballare. A me questo non interessa… Rimango a parlare con gli amici, quelli che di strada ne han fatta per essere qui, nel retrobottega del mondo in una serata dove la Morte di Giugno era carica di promesse. Mi sento quasi in dovere di scusarmi per quanto è accaduto oggi… So che è ridicolo, ma son dispiaciuta. Ci salutiamo, questa volta son io che gioco in casa, mezz’oretta e sarà davvero tutto finito. Ciao ragazzi e buon viaggio. Buon viaggio e buona fortuna anche a te, stanco signor Pierce. Ancora un’ultima domanda: è questo quel che succede quando i simboli si frantumano?