Infos
Setlist
- Death of a Man
- Bring in the Night
- Lullaby to a Ghetto
- Only Europa Knows
- Symbols of the Sun
- Death of the West
- Ku Ku Ku
- Giddy Giddy Carousel
- Omen-Filled Season
- Rose Clouds of Holocaust
- Hullo Angel
- Fall Apart
- Leper Lord
- Luther’s Army
- Little Black Angel
- Runes and Men
- Leopard Flowers
- Rocking Horse Night
- Encore:
- Heaven Street
- Behind the Rose (Fields of Rape)
- C’est un Rêve
http://www.occidentalcongress.com/reports/OC1_NER.html
Torino, 31 maggio 1997. Il festival della New European Recordings tocca finalmente anche l’Italia, l’occasione è imperdibile: Death in June, Strength Through Joy, Kapo!, Non, Scorpion Wind, tutti assieme, tutto in una sola notte, e se questo vi sembra poco…
L’alba è finalmente giunta! Aspettavo un momento simile da anni ormai e alla fine le mie preghiere sono state esaudite! Due date italiane (Roma -29.05.97- e Torino -31.05.97-) per il tour mondiale capitanato da Douglas P. e Boyd Rice. La possibilità più unica che rara di assistere ad uno spettacolo sensazionale, l’avverarsi di un sogno covato, nemmeno tanto segretamente, da anni ormai ed infine il suo avverarsi con il giungere del gran giorno: Torino, 31 maggio 1997, una data storica, che sono sicuro, non sarò il solo a ricordare.
– Il viaggio: sono solo, meglio, mi sono rassegnato all’idea di raggiungere la mia meta in completa solitudine; l’idea non è molto allettante, ma per una serie di motivi e problemi nessuno dei miei amici interessati all’evento è in grado di accompagnarmi. E mi ero già rassegnato da un pezzo quando il Destino, fortunatamente, mi manda Andrea, e tutto prende una piega molto differente, migliore. Partiamo da Trieste sabato mattina, l’idea è quella di raggiungere Torino verso il tardo pomeriggio. Tutto fila liscio; un paio di scambi (tutti in perfetto orario), dei panini digeribili ed una serie interminabile di conversazioni che tengono occupata la mente da oltre sette ore di binari e paesaggi troppo spesso monocolore. La meta è vicina.
– Torino: una metropoli dove si respira un’aria troppo tesa per i miei gusti: i portici intasati di gente danno la claustrofobia, il cielo è di un grigio infinito, i negozi non sembrano affatto male ma molte facce che incrocio non mi ispirano poi tanta simpatia. All’imbrunire acquisto (ignaro, anche se con qualche sospetto) un bootleg dei Kirlian Camera; a Torino i prezzi di alcuni dischi sono micidiali (42.000 lire per un cd, 27.000 lire per un mini!!). In quei momenti comunque, ammetto di non essermi soffermato in maniera cosciente su questa serie di problemi: l’unica cosa che avevo davvero a cuore era il concerto a cui avrei assistito di lì a poco.
– C’eravamo tanto a(r)mati?: il concerto avrebbe dovuto svolgersi al Dracma (dove solo qualche mese prima avevano già suonato i Sol Invictus), ma a causa di un’ordinanza del Comune (causa le porte antincendio?) l’agibilità era stata negata costringendo gli organizzatori a spostare (praticamente all’ultimo momento) il posto dove avrebbero dovuto esibirsi Douglas P. & C. Il posto in questione si è rivelato poi essere un Centro Sociale dal nome non molto invitante: “La Lega Furiosi” (?) dove già mi immaginavo scene di violenza urbana non molto edificanti. La “Lega…” non ha un indirizzo, sapevamo solo che si trovava lungo le rive del Po (in una zona non molto raccomandabile), siamo andati avanti un pò ad istinto ed un po’ ad esperienza e finalmente ci è giunto un segno: a circa un centinaio di metri da noi abbiamo notato un ragazzo con i capelli corti, anfibi, una polo nera e pantaloni mimetici: “seguiamo il ragazzo con il look deathinjunista!” mi fa Andrea, e il consiglio si rivela azzeccato più che mai. Troviamo praticamente subito la nostra meta e qua iniziano i “veri” problemi. Un po’ di tensione si respira solo a tratti: qualche occhiata nervosa, sguardi insofferenti e le solite affermazioni campate in aria (a un paio di metri da me alcuni individui sbraitano “moderatamente” sul significato da attribuire al totenkopf dei Death in June…). Senza tirarla troppo per le lunghe finisce che un gruppetto di autonomi/anarchici blocca l’ingresso e afferma che il concerto ce lo possiamo scordare se il “popolo” è costretto a pagare la somma (di lire 35.000) originariamente fissata per il Dracma. E così veniamo lasciati fuori dal portone e ci dobbiamo sorbire una quintalata di discorsi piuttosto interessanti, soprattutto perché mi fanno comprendere quanto abbia ragione la Legge di Murphy quando afferma che a questo mondo l’intelligenza è una costante, mentre la popolazione è in aumento… Si rischia il peggio, si parla di sciogliere il concerto, le persone davanti al Centro iniziano lentamente a crescere, fino a raggiungere un numero attorno alle trecento o poco più. Prima di farci entrare passeranno alcune ore(!) rallegrate comunque da diversi gioiosi eventi: il suond-check di Boyd Rice (che sembra voglia demolire il Centro ancora prima del concerto), un immigrato che dal ponte ci rovescia addosso della birra, una giovane e simpatica coppia da non mi ricordo dove (comunque vicino a Torino) che strabuzza gli occhi nello scoprire che siamo partiti da Trieste per vedere i Death in June, organizzatori che si disperano, saltano e rotolano (vero, Marco!), un immigrato che ci getta (non certo per offrircela) una bottiglia mezza vuota, posers e pagliacci gotici disseminati in ordine sparso, oscuri e leggendari giornalisti nascosti tra la folla… Si è fatto ormai buio pesto, iniziano a cadere le prime timide gocce di pioggia ed ecco finalmente aprirsi i cancelli.
– Il concerto: l’interno della “Lega…” è davvero bello, suggestivo e molto spazioso, mi aspettavo davvero di peggio, invece tutto inizia ad assestarsi in maniera quasi perfetta, ideale. Il palco viene inaugurato dai Strength Through Joy, in un certo senso la loro performance si rivela essere più un antipasto, un preambolo, rispetto a ciò che ci aspetta, le canzoni proposte si rivelano belle e con un buon impatto acustico, ma purtroppo spesso provo la sensazione di essere davanti ad un gruppo i cui brani non sembrano risplendere di luce propria (…) Presentati da Douglas con un impeccabile “Ladies and gentlemen…” ciò che colpisce praticamente subito Andrea e me è la tenuta dello stesso Douglas: nonostante la stazza imponente, gli anfibi e i pantaloni militari, gli occhiali da vista e la camicia a maniche corte gli conferiscono un aspetto particolarmente accademico (sembra davvero un professore universitario). Il concerto è cominciato da nemmeno un quarto d’ora e tutto qui è già un crescendo di emozioni. L’arrivo sul palco di Douglas nelle vesti della Morte in Giugno è davvero incredibile, un’emozione grandissima: momenti di lucido splendore monumentale. Il concerto sfocia nella sua seconda parte iniziando con una “Death of a Man” apocalittica e marziale come non mai poi, la scaletta continua, attraversando gli oltre tre lustri di vita dei Death in June regalandoci alcune tra le più belle canzoni mai scritte dal gruppo: “Fall Apart”, l’immancabile “Heaven Street”, la storica (e inaspettata) “Death of the West”, “Symbols of the Sun”, “Rose Clouds of Holocaust” e poi dal side-project Kapo! capolavori come “Only Europa Knows”, fino al brano che pone il sigillo di chiusura a questo meraviglioso evento: “C’est un rêve”. Applausi ed entusiasmi si sprecano, ma il concerto è stato davvero incredibile. E non è finita! Una breve pausa ed ecco salire nuovamente sul palco Douglas, questa volta assieme a Boyd Rice. Si comincia con i brani che hanno dato corpo a “Music, Martinis and Misanthropy” e “Scorpion Wind”, ed è questo sicuramente il momento più calmo e contemplativo del concerto, ma poi a dare una scrollata alle coscienze (ma soprattutto alle orecchie) dei presenti ci pensa sempre lo stesso Boyd Rice, che rimasto solo sul palco con l’ausilio di un piccolo marchingegno elettronico (non più grande di un telecomando) fa esplodere tutta la furia industriale per cui è annoverato come uno dei maestri dell’industrial “old style”. Una deflagrazione marziale/industriale scuote le fondamenta del Centro, terrorismo sonico allo stato puro. Mezz’ora più che sufficiente per acquisire una fondamentale lezione di indutrial per la gioventù di ferro, momenti che resteranno indelebili nella mia memoria. Il brano a conclusione di questa performance (e del concerto tutto) è il più classico tra i classici: “Total War”, un’ondata catartica, un gioiello di violenza apocalittica, coinvolgente e brutale come pochi altri brani da me conosciuti. Alla fine di quest’ultimo pezzo, sarò tanto rintronato e con le orecchie ovattate che mi ritroverò ad urlare a quattro centimetri da Andrea per poter scambiare commenti sull’accaduto! E così giungiamo alla fine. Dopo alcuni minuti di silenzio inizia una squallida festicciola gotica che si dimostra un ottimo campanello di allarme per noi che siamo venuti a Torino per vedere dei grandi musicisti e non dei grandi pagliacci (quelli li trovi ad ogni angolo della strada…) Salutiamo Douglas P. e Boyd Rice, e con quest’ultimo le strette di mano si sprecano: il signor Rice è semplicemente gigantesco, un armadio in divisa nera, ma si rivela anche essere un armadio di simpatia e disponibilità; firma autografi sui suoi dischi, ma anche su foglietti, scontrini, foto di Douglas(!), ci regala uno squarcio di puro entusiasmo, magari un po’ puerile, ma pienamente motivato. “Rice is nice” non è certo un motto coniato a caso, anzi! Tempo di partire, tornare a casa. Prima di lasciare il centro acquisto “Im Blutfeuer” e il nuovo album dei Mental Destruction “Straw”, quest’ultimo gentilmente offertomi dal negozio di Rimini E.N.D.E. che per l’occasione ha allestito un bancone niente male. Mi lasciano anche un numero del loro news-letter/catalogo che per impaginazione e qualità grafica si rivela un temibile antagonista ai bollettini della Cold Meat Industry (tralasciando i dischi recensiti… tutti con un 10 e lode!! capisco che li devono pur vendere, però…) Comunque grazie ragazzi, E.N.D.E. certo almeno non sonnecchia e merita tutto il plauso di essersi presentato con una grossa varietà di materiale ad un evento davvero unico. Un saluto ai ragazzi conosciuti (o nuovamente incontrati) a Torino e poi via verso casa. Il resto è storia. Storia (per fortuna) senza problemi, ma soprattutto, senza alcun incidente, sembrava dovesse andare tutto a rotoli e invece tutto è stato semplicemente grandioso! Mi viene da ridere, lo ammetto, ripensando, ora, a quei momenti: mi sembra quasi di aver vissuto un sogno, direi anche piuttosto grottesco perché, se i Death in June che suonano in un centro sociale a qualcuno possono far storcere il naso, Boyd Rice che si esibisce alla “Lega Furiosi” in simil-divisa da SS sembra davvero una barzelletta! Così va il mondo.